La Civiltà del Fiume – La grande alluvione del 1882 (8)

“Oltre centomila persone rimasero per qualche mese accampate sugli argini … coperte di stuoie e mantenute dalla carità pubblica…” Gustavo Bucchia (1810/1889) docente Ingegneria e Architettura Università di Padova, senatore italiano)

L’alluvione del 1882 (17 – 18 settembre 1882) fu un evento disastroso che colpì le provincie di Verona e Rovigo, e il comune di Cavarzere. 

Il 15 settembre la piena dell’Adige aveva già provocato gravi danni a Verona: già dai primi giorni di settembre 1882, il livello dell’acqua dell’Adige andava ad aumentare sempre di più a causa delle abbondanti piogge.  I venti caldi che soffiavano sulle montagne, inoltre, sciolsero le precoci nevicate  che si erano avute. I residenti sulle case in riva al fiume perciò furono preparati ad affrontare la piena ma non la portata che questa avrebbe avuto. Si provvide infatti a rinforzare gli argini. Il 14 settembre fu il giorno più pauroso. Molti molini ruppero le catene con cui erano stati precedentemente assicurati e furono trascinati dalla corrente. Uno andò a schiantarsi contro il Ponte Nuovo, abbattendolo.Il 17 settembre oltre i due terzi di Verona erano sommersi dall’acqua; le barche non riuscivano nemmeno a passare sotto gli archi di porta Borsari. A Ponte Pietra l’acqua aveva raggiunto l’altezza di 4 metri e 50 sul segnale di guardia, mentre la stima della velocità della corrente era di 20 km all’ora.

Tra le cause della violenta piena, le modifiche del tracciato del fiume in territorio trentino, realizzati durante la costruzione della ferrovia del Brennero, e la sistemazione di molti torrenti che aumentarono la velocità dell’onda di piena. Si parlò anche di lavori agricoli che avevano modificato l’idrografia del fiume a monte della città.

Il 17 settembre alle 3 e 30 l’Adige ruppe gli argini in riva destra a Boschetto di Angiari, a 100 chilometri dal mare Adriatico. Le acque disalveate devastarono le campagne della bassa veronese e del Polesine fino a riversarsi nel Tartaro-Canalbianco provocando le rotte a Bergantino, Zelo (Giacciano con Barucchella) e Frassinelle Polesine. I veneziani (che governarono il Veneto fino al 1815),  al verificarsi delle inondazione a sud del Canalbianco, tagliavano immediatamente gli argini alla Fossa Polesella. Il Genio civile di Rovigo procedette, invece, al taglio della Fossa solo il 30 settembre, nel frattempo tutto il territorio dalla grandi Valli Veronesi fino alla Fossa si era completamente allagato. Furono 39 i comuni devastati.

Immediata e fondamentale la mobilitazione dell’esercito. I morti, in conseguenza del crollo di alcune abitazioni furono 11, ma non esiste una stima per il numero di vittime dirette o indirette.

Il 27 settembre la città  fu visitata dal re Umberto I, arrivato da Roma per rendersi conto della catastrofe e per portare conforto alle popolazioni;  seguì in battello il corso dell’Adige, passando per i comuni disastrati del fiume, come attesta la stampa dell’epoca.

In seguito alla conseguente carestia  63 000 persone emigrarono in America del Sud ; furono anche poste le basi per il movimento conosciuto come della  “Boje”. Particolarmente concentrata nel Polesine la causa di questa rivolta fu l’inondazione dell’Adige e di altri fiumi nel settembre del 1882. La provincia orientale di Rovigo fu particolarmente danneggiata e circa 70.000 contadini rimasero senza asilo. La conseguente annata registrò scarsissimi raccolti e la fame colpì pesantemente la classe rurale polesana e la convinse all’inizio della mietitura del 1884 ad attuare forme di violenza che fino a quel momento non si erano conosciute nella zona.

 

A ricordo della catastrofe, fu posta una lapide nel portico della Rotonda a Rovigo, dove molti sfollati dalle campagne furono temporaneamente alloggiati nei giorni seguenti all’alluvione, e sul campanile della chiesa di Cavarzere.

A ricordo è rimasta anche questa poesia di tradizione popolare:

 

“Nel mileotocentoeotantadò

xe capità ‘na inondassion,

’na inondassion cossì granda

che no ghi n’ capitarà mai più!

E l’aqua la ièra tanta

che ‘a fasea paura

che gnànca la questura

no’ ‘a gà potuo fermar

E l’aqua la ièra tanta

che ‘a fasea corente

che gnànca co’ le barche

no’ se podea starghe da rènte

E Re Umberto,

cari compatrioti,

al vedère ‘sto disastro

el gà fàto ‘e lagrime ai oci

E anca i preti e i frati

co’ ‘e so’ benedission

no’ i gà potù far gnente

par quéla inondassiòn

O Vergine Santissima,

abiàte di me pietà

se anca qualche volta

me gò imbriagà!

I mulini sul fiume Adige (9) nel prossimo articolo della “Civiltà del Fiume”

 

 

 

Evento in Fattoria sabato 21 luglio 2018

dalle 17.00 alle 21.00 qui  al Boschetto delle Lepri in collaborazione con la ProLoco di Piacenza d’Adige vi invitiamo alla festa di inizio estate

 

                      ” IL FIUME E LA LUNA”

  • I giochi di una volta: torneo a squadre  per grandi e piccini
  • giochi per bambini
  • esibizione di danza Associazione Culturale Antico Cerchio di Rubano
  • danze popolari per tutti da tutto il mondo: animazione a cura di Antico Cerchio
  • stand gastronomico

Vi aspettiamo, non mancate!

 

 

A proposito di zucca

zucca Mamma mi raccontava che la notte della vigilia del  1′ Novembre, la festa di Tutti i Santi, a casa sua in campagna si metteva alla finestra una zucca svuotata e con una candela. Serviva a richiamare le anime dei propri morti, in modo che si rifocillassero in casa (si lasciava sul tavolo della cucina del pane o qualcosa da mangiare e del vino). Si lasciava la porta aperta perchè entrassero liberamente a visitare le stanze in cui avevano vissuto tutta la vita, e poi ritornassero da dove erano venuti. I bambini avevano un pò di paura, perchè effettivamente la zucca così preparata ricorda proprio la forma di una teschio; eppure l’incontro dei piccoli con le ragioni e i misteri della vita come della morte erano appuntamenti necessari, in qualche modo inderogabili, anno dopo anno nelle tradizioni contadine.

Ma da cosa deriva Halloween che altro non è che All hallows (tutti i Santi) e eve (vigilia)= vigilia di tutti i Santi, e che tanto prende grandi e bambini con tradizioni anglosassoni, per altro, recentissime?

In realtà prima che i Romani salissero la penisola i Celti Cenomani vivevano nelle zone tra Brescia e Verona fino alla foce dell’Adige. La  cultura Celtica in generale segnava due grandi periodi: quello della rigogliosità della terra (con inizio con la festa di Beltane attorno a maggio) e quello della pausa e non produttività della natura (con il giorno di Samhain che cadeva tra la metà di ottobre e i primi giorni di novembre). In un popolo così arcaico dove dominavano spiriti e potenze soprattutto naturali, i ritmi e gli avvenimenti della tradizione assumevano un carattere molto spirituale. Contemporaneamente a Roma si celebravano alla fine del periodo dei raccolti i festeggiamenti a Pomona. Quando Roma iniziò a salire la penisola e poi conquistare gradatamente tutta la Gallia, le feste di Samhain e Pomona si integrarono. Con l’avvento del Cristianesimo e il suo essere religione di stato dopo Costantino, ci fu più attenzione al significato spirituale dei processi della vita e della morte. Bonifacio IV (608-615 d.cC.) istituì una festa di tutti i Santi (martiri e defunti) che cadeva il 13/5 di ogni anno,  ma la gente continuava alla fine dell’anno produttivo a unire il ringraziamento alla terra al culto dell’aldilà e dei morti, a tornare a Samhain come festa spirituale arcaica. Finchè nell’835 Gregorio IV fece coincidere le due feste  e nel X secolo la Chiesa istituì il 2 novembre la festa dei Defunti.

Questa la nostra storia, la nostra tradizione.

Ognissanti

Le meraviglie del territorio: i tesori e la storia di Piacenza d’Adige (4)

chiesettasantonioBNLa storia di Piacenza d’Adige inizia  ufficialmente con la prima citazione riportata su atto pubblico del 25 novembre 1186, giorno in cui Papa Urbano III dà conferma al monastero di S. Maria delle Carceri dei possessi e dei diritti che esso aveva nella Scodosia, nominando appunto una certa “Villa Plancentia”.  Nella variante di “Plagentia” la ritroviamo nel 1220: Federico II imperatore in quell’anno ordina al comune di Padova di non ingerirsi nella giurisdizione degli stati Azzo marchese d’Este.

Nel 1393 i padovani gettano sull’Adige, proprio a Piacenza, un ponte di barche per passare alla conquista di Lendinara, Barbuglio e Cavazzana.

La parrocchia e la prima chiesa di Piacenza d’Adige sono intitolate a S. Antonio Abate. Dapprima essa è menzionata nella visita vescovile del 2 settembre 1448. Poi, la visita del 22 maggio 1683 ci rende noto che la Chiesa è stata consacrata il 5 maggio 1413 da Andrea di Montagna, vescovo di Divrasto nell’Epiro, con licenza e per commissione del vescovo di Padova Pietro Marcello. 

Nel 1783 i periti veneziani rettificarono l’intera zona dell’Adige e situarono Piacenza nella pronunciatissima ansa dell’Adige detta appunto Volta di Piacenza. In particolare la famiglia patrizia veneta Mocenigo, del ramo di San Samuele, tra le immense proprietà fondiarie, sparse intutto il territorio della Serenissima, aveva bonificato vaste aree vallive da cui era derivato il toponimo “Valli Mocenighe”, tra Ponso e Piacenza d’Adige.

palazzomocenigoBNQui il nobiluomo procuratore Alvise Mocenigo (Venezia 1760/1815) si era proposto di riprodurre il modello agronomico da lui realizzato su vasta scala ad Alvisopoli, nel portogruarese, un intero paese “azienda modello” per incrementare non solo la produzione agricola ed industriale ma anche il benessere materiale, culturale e sociale degli abitanti. Mocenigo sposò Lucia Memmo, la figlia di quell’Andrea, provveditore a Padova, ideatore del progetto della risistemazione e riqualificazione del Prato della Valle. E fu così che la zona divenne uno dei luoghi più famosi per la coltivazione del riso, anche per merito del figlio (nato da una relazione di Lucia con un colonnello austriaco e riconosciuto tardivamente come unico erede) il conte Alvise Francesco, come si legge in una   sua supplica presso la Camera Aulica di Vienna, datata 12 novembre 1842: “istituimmo vastissime risaie, erigendo sontuose fabbriche, introducendo macchine nuove per trebbiare il riso e per innalzare e scolare le acque. Si assicurò un perenne lavoro a centinaia di braccia e fece diminuire d’assai il numero dei delitti e delle gravi trasgressioni che purtroppo in quella parte del Distretto di Este si annoverano ogni anno”. Palazzo Mocenigo, villa di campagna della famiglia Mocenigo ramo San Samuele, è un edificio a pianta compatta, formato da una porzione centrale elevata su tre piani e da due brevi ali laterali a due piani. La parte centrale del prospetto è caratterizzata da tre trifore sovrapposte, due aperte su balcone. Nelle porzioni laterali si trovano bifore archivoltate riquadrate. La barchessa – trasformata nei secoli e oggi con le arcate tamponate e aperte con finestre – ha alte arcate a sesto pieno, poggiate sui pilastri e piccole finestre in asse alle chiavi.

 

 

 

 

 

Le meraviglie del territorio: la golena di Piacenza d’Adige (3)

La splendida golena è la terza meraviglia più vicina alla nostra Fattoria didattica.

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Dalla pubblicazione a cura di Stefano Meneghini “il fiume Adige e il suo territorio” 1995: -Giunti a Piacenza d’Adige è d’obbligo percorrere la strada sterrata che corre attorno al grande spazio della golena più grande e più bella dell’intero territorio. Lo spazio interno pianeggiante è utilizzato per le colture estensive che, naturalmente a seconda delle stagioni, offre l’aprirsi di larghi riquadri  a diverse tonalità di colori verdi, gialli e marroni. Rare macchie di scuri cespugli interrompono il paesaggio pianeggiante mentre alberi di salici e di pioppi la delimitano a nascondere i campi coltivati dell’entroterra e lungo la sponda dell’Adige…. Un aspetto particolare è dato da una costruzione rurale, proprio al centro della golena (*)…. Dalla golena di Piacenza fino alla prima curva del fiume Adige l’itinerario prosegue attraverso l’argine sterrato …. Lungo il tragitto ci si imbatte in una costruzione atipica di mattoni: un terrazzamento semicircolare che si affaccia, attraverso le fronde delle alberature, sul letto del fiume Adige-

golena gennaio 2011

(*)nota: la costruzione rurale è stata abbattuta nel 2013, ma noi pubblichiamo una foto fatta  prima della demolizione

Le meraviglie del territorio: il boschetto sull’argine di Piacenza d’Adige (1)

bosco radoLa prima, la più vicina meraviglia alla nostra Fattoria didattica è senz’altro il boschetto di Ailanthux, Robinie, Sambuchi e Noci. E’ nato fra l’argine e i campi coltivati, è il nostro confine Sud. Noi lo chiamiamo Bosco-Fresco. Le sue dimensioni sono, nel massimo rigoglio dell’estate, di 40 metri per 200 e comprende, oltre agli alberi già citati prima, arbusti e piccole piante (dal luppolo, agli asparagi selvatici, a funghi e tuberi di varia specie). E’ anche abitato da piccola fauna locale: lepri e fagiani, picchi e civette, barbagianni, egrette, upupe e usignoli (solo quelli che abbiamo visto e sentito di sicuro …).  P1020109

E’ un luogo particolare, pieno di piccoli angoli da cui, nelle giornate di sole, s’insinua  in filigrana la luce; altri che raccontano storie di sorgenti e fontanazzi.   Trovate radure e spiazzi,  tappeti di more selvatiche e grovigli di luppolo, brevi tratti battuti che portano verso la nostra zona degli stagni, oppure verso lo spiazzo dove abbiamo sistemato le rose rampicanti.Un gioiello selvatico incastonato tra noi e l’argine, nato nel corso degli anni dal raccogliersi di buona terra portata dall’Adige sopra la sabbia del fiume. Una meta da non lasciarsi sfuggire, nel bel percorso in bici o a piedi che va da Este a Badia Polesine.

La nostra Fattoria Didattica

Il Boschetto delle Lepri è un luogo particolare, immerso nella campagna della bassa Padovana, adiacente ad un grazioso bosco ed al tratto più meridionale dell’Adige. Nelle immediate vicinanze si può passeggiare sugli argini  spaziosi verso  la golena del fiume o verso il sito delle zone umide di Piacenza d’Adige, mentre velocemente raggiungibili troviamo le città murate di Este, Monselice  e Montagnana,  le abbazie di Carceri e  Vangadizza ed il meraviglioso parco dei Colli Euganei; ed ognuno di questi luoghi è servito da piste ciclabili. La parole chiave? In ordine alfabetico e con la lettera maiuscola: Acqua, Cultura e Multicultura, Permacultura, Piante aromatiche e officinali, Rose, Salvaguardia del Creato.

Qui da noi lo sguardo dell’osservatore coglie il  verde in qualsiasi  stagione dell’anno, mentre i colori pastello della primavera, sfolgoranti  d’estate e in autunno quando si accendono di rosso e marrone, immergono il visitatore nella semplicità dell’ambiente naturale. I percorsi si snodano fra acqua, alberi, arbusti, cereali, ortaggi e fiori con spazi tematici racchiusi in  sei ellissi delimitate  ognuna da una diversa siepe: i loro nomi? La  Signora delle Rose, gli stagni di Lili, Frutta Antica e Piccoli Frutti, Acqua di Rosmarino, Grani e Lavande, la Ruota dell’Orto. I numeri? 16.000 metri quadrati di spazi praticabili, 1 struttura di accoglienza di 44 mq, 1 auletta didattica con biblioteca, 128 rose, 130 piante da frutto  antiche ed ibride, 500 arbusti, 150 piccoli frutti, 8 specchi d’acqua, 30 alberi, 2 grandi zone a prato per correre o giocare in libertà.

Ci sono “stanze” aperte ed angoli segreti, silenzi e profumi diversi per ogni stagione dell’anno, il Bosco che intreccia il suo sentiero con i vialetti della Fattoria, insetti e uccelli, animali della macchia arbustiva e della campagna, wc e percorsi praticabili anche da carrozzine e passeggini, panchine e zone in ombra per chi vuole osservare, riposare, leggere,  possibilità di partecipare a laboratori didattici adatti a  qualsiasi età ed abilità.

 Le iniziative? Laboratori di attenzione, esperienziali o  didattici per le scuole compresi educatori e genitori; giornate in libertà e nel verde per famiglie e gruppi anche con laboratori; il Passalibro (si arriva con uno dei propri libri già letti, lo si lascia sul tavolo della biblioteca, si sceglie dallo scaffale un altro libro e lo si porta a casa con sé); accessibilità a spazi coperti e verdi, e servizi ludico/educativi per qualsiasi festa o ricorrenza; vendita diretta di alcuni prodotti aziendali; il blog con i suoi articoli  di cultura e agricoltura e la mascotte Pepe la Lepre.

Tutti i nomi del Boschetto delle Lepri

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scopri le nostre parole chiave:

Acqua, Cultura e Multicultura, Permacultura, Piante aromatiche e officinali, Rose, Salvaguardia del Creato

    P1010855    segui il percorso e cerca i nomi dei nostri angoli particolari:

La  Signora delle Rose, gli stagni di Lili, Frutti Antichi e Piccoli Frutti, Acqua di Rosmarino, Grani e Lavande, la Ruota dell’Orto