La Civiltà del Fiume – Canapa, vele e cordami, le risaie : Alvise Mocenigo (7)

Un altro Alvise, questa volta dei nobili Mocenigo ramo San Samuele, segnò la cultura del fiume a Piacenza d’Adige. La sua era una famiglia di patrizi: nacque a Venezia nel 1760, figlio di Alvise V e Chiara Zen e nipote di Alvise IV, doge della Serenissima. In campo politico ricoprì fra gli altri gli incarichi di  savio alle Acque , savio di Terraferma, capitano e vicepodestà di Verona  e, a Udine, luogotenente della patria del Friuli. Dopo la caduta della Repubblica di Venezia si dedicò all’amministrazione del suo vasto patrimonio e, tra Fossalta e Fratta di Portogruaro, nel 1800 decise di edificare Alvisopoli all’interno di un vasto latifondo di famiglia di proprietà dal ‘600 sul modello urbanistico e sociale della tradizione greco-romana quale esempio di città agricolo-industriale ma anche intellettuale.

Una volta sperimentato questo modello, Alvise si ripropose di riprodurre qui, nelle sue proprietà bonificate di Valli di Piacenza d’Adige,  il modello agronomico da lui realizzato su vasta scala in Friuli per incrementare non solo la produzione agricola ed industriale ma anche il benessere materiale, culturale e sociale degli abitanti.

Si era appena completata nel 1783 la rettifica dell’ansa dell’Adige e la costruzione di un argine contenitivo, nota come Volta di Piacenza, attorno alla quale sorgeva l’abitato. Per raccogliere le acque della rotta si scavò il Canalazzo (rintracciabile nell’attuale strada che porta al ponte di Pilotto). La volta antica ora è la Golena di Piacenza d’Adige. La famiglia dei Mocenigo ramo San Samuele, presenti qua fin dalle prime bonifiche costruironoo il palazzo che sorge sulla Frattesina,  la barchessa, le boarie, le abitazioni dei dipendenti, persino la chiesa (1695), e per volontà del cardinale Gregorio Barbarigo, il conte aveva il diritto di approvazione e rimozione del sacerdote. Le tradizionale attività agricole, oltre a frutta e allevamento di bestiame,  erano le fiorenti coltivazioni di canapa (che fornivano i cordami e vele per tutte le imbarcazioni della Serenissima, oltre a lenzuola, biancheria, stuoie ) dei màsari del Fiumicello e della Cavariega. Venezia intensificò notevolmente la produzione di questa pianta facendo costruire opere idrauliche idonee, obbligando i Mocenigo e gli altri nobili patrizi proprietari, a far   selezionare accuratamente il prodotto dai contadini. I più complicati erano i processi di macerazione della fibra di canapa che doveva essere separata dalla parte legnosa, e di vitale importanza erano i mulini che agivano sulle acque di macerazione che venivano mandate nello scolo Vampadore.

 

 

Tramite l’impiego di tecniche innovative Alvise Mocenigo inserì, come aveva fatto ad Alvisopoli, la coltivazione del riso, che veniva lavorato in un piccolo opificio a  e arrivava via Adige a Venezia per il consumo. 

Alvise Mocenigo sposò nel 1786 Lucia Memmo (figlia di Andrea che fu  Provveditore straordinario di Padova dal 1775 e volle  la trasformazione dell’area di Prato della Valle, facendo edificare l’anello di statue con fossato, che da lui prese il nome di Isola Memmia). Da Lucia e da un colonnello austriaco nel 1799 a Venezia nacque Massimiliano Cesare Francesco Il conte Mocenigo, spesso assente da casa per i numerosi impegni istituzionali e di gestione delle tenute di famiglia, venne a sapere della sua esistenza solo nel 1803; decise di riconoscerlo anteponendo ai suoi nomi di battesimo, quello di Alvise, come consuetudine nella sua famiglia.

Alvise Francesco divenne così l’unico erede del conte Mocenigo (essendo morto in tenera età il suo unico figlio e che aveva solo un’altra figlia naturale, intraprendendo una brillante carriera come ufficiale di cavalleria nell’Impero Austriaco, diplomatico e incaricato d’affari nell’Assia-Kassel. Si preoccupò anche di rilanciare le numerose tenute del padre putativo ad Alvisopoli e quelle di Piacenza. Fu presidente dell’Ateneo Veneto di Venezia e del teatro La Fenice. Morì nel  1884 a Venezie e sepolto ad  Alvisopoli. 

Alvise Francesco, come si legge in una   sua supplica presso la Camera Aulica di Vienna, datata 12 novembre 1842 scrive: “istituimmo vastissime risaie, erigendo sontuose fabbriche, introducendo macchine nuove per trebbiare il riso e per innalzare e scolare le acque. Si assicurò un perenne lavoro a centinaia di braccia e fece diminuire d’assai il numero dei delitti e delle gravi trasgressioni che purtroppo in quella parte del Distretto di Este si annoverano ogni anno”.

La grande alluvione del 1882 nel prossimo articolo della Civiltà del Fiume