La coltivazione della vite prevede la presenza di un tutore; nell’antichità i contadini usavano come tutore un albero vivo (vite maritata). Gli Etruschi furono i primi a sviluppare tale tecnica di coltivazione con due varianti: l’alberata, ove la vite è tenuta legata da un singolo albero, e la piantata, ove le viti, legate ad alberi disposti in filari, sviluppano i loro rami lungo funi legate tra i vari alberi..
Documenti sulla coltivazione della vite abbinata a vari alberi scelti fra acero, frassino, ciliegio,salice, ornello, pioppo, gelso risultano fin dall’epoca medievale; uno sviluppo che subisce una battuta d’arresto solo verso la fine del tardo ottocento, con l’introduzione di altri sistemi di tutoraggio e con l’affacciarsi delle colture intensive. Le specie legnose più adatte sono quelle con sistema radicale fittonante, capace di approfondirsi nel terreno (e quindi di esplorare gli strati in cui non si spingevano le radici della vite) e quelle a chioma non troppo folta, con foglie poco espanse e che possono sopportare delle potature molto severe.
Gli appezzamenti erano suddivisi da queste coreografiche “alberate” con l’accoppiata siepe/vite. Questa organizzazione del territorio e del paesaggio creava delle suggestive quinte scenografiche come testimoniano alcuni dei molti autori che tra il ‘700 e l’800 raggiunsero l’Italia viaggiando attraverso alcune grandi regioni d’Europa. Goethe scriveva ad esempio nel suo Viaggio in Italia: “Si vedono lunghe file di alberi e intorno a questi sono ravvolti i tralci delle viti che ricadono in giù. Le uve mature premono sui tralci i quali vacillando, cadono penzoloni.”
Le “nostre” viti maritate sono inserite nella zona “Frutti antichi & piccoli frutti”, l’uva fragola, l’uva Angelica gialla e quella sultanina bianca sono sostenute dalle susine Goccia Gialla e Casalina.